Forse non sarà ricordato come il più prolifico serial killer italiano ma probabilmente, al momento, può essere ricordato come il più perverso di tutti. Gianfranco Stevanin nasce a Montagnana (PD) il 21 ottobre del 1960 da Noemi Miola e Giuseppe Stevanin, due facoltosi proprietari terrieri che vivono sostentandosi completamente con i frutti dei loro possedimenti. Si tratta di una famiglia abbastanza facoltosa ed i genitori sono anche fin troppo protettivi nei confronti dei figli. Non sarà l'unica strana incongruenza con quella che solitamente caratterizza l'infanzia di un serial killer. Oltre ad un ambiente familiare agiato, protettivo e del tutto privo di violenze domestiche, Gianfranco dimostrerà da subito un certo ribrezzo nell'uccidere gli animali. Nei lavori nei campi questo compito lo lascerà definitivamente la padre.
Quando ha 5 anni, sua madre ha una gravidanza difficoltosa, i genitori non potendo badare al piccolo, decidono di mandarlo in collegio. La gravidanza poi finirà in un aborto spontaneo e così Gianfranco può tornare a vivere in famiglia. Tuttavia la sua permanenza è limitata perchè pochi mesi dopo si fa male cadendo e battendo la testa contro un attrezzo agricolo. La cosa per fortuna si risolve con un grosso spavento e 4 punti di sutura per il piccolo, che tuttavia viene mandato nuovamente in collegio per evitare che finisca per farsi male di nuovo. Questa volta la permanenza durerà per tutto il ciclo delle elementari, medie e primo anno di superiori, privando il bambino dell'affetto e della figura dei genitori, soprattutto del padre come riferimento. Proprio in questi anni, quando lui ne ha 13, vive la sua prima esperienza sessuale. viene molestato da una ragazza 24enne che abusa di lui, anche se poi sarà lui stesso a scagionarla ammettendo che la cosa non gli era dispiaciuta e che non aveva cercato di fermarla.
Nel 1976 torna a casa e pochi mesi dopo resta vittima di un altro incidente, stavolta molto più grave. Gianfranco ha la passione delle moto potenti ed è proprio da una di questa che cade procurandosi una "lesione bilaterale dei lobi frontali", finendo in coma per due settimane. Dopo un mese subisce un delicato intervento di "plastica delle fosse craniche e ricostruzione del margine orbitario". Gianfranco si salverà da questa brutta esperienza ma viene distrutta tutta la sua sfera psicologica. Perde amici, fidanzata, e gli studi. Il suo comportamento cambia e diventa più bizzarro, soffre di un principio di epilessia e non riesce a stare sui libri a lungo perchè ha difficoltà di concentrazione e soffre di forti emicranie.
che la sfera comportamentale abbia sicuramente subito un grave colpo lo si vede negli anni immediatamente a venire. Dal 1978 al 1983 viene processato diverse volte per svariati capi d'accusa: simulazione di reato (inscena un rapimento e chiama anche i suoi genitori per farsi agare il riscatto), rapina, violenza privata (costringe una ragazza, sotto minaccia di una pistola, che poi si rivelerà giocattolo, ad accompagnarlo ad una festa). Nell'83 poi viene condannato per omicidio colposo dopo aver causato la morte di una ragazza che aveva investito in auto. Scabrosa fu la reazione della madre il giorno dell'incidente che, consolandolo, gli disse "Non ti preoccupare, te la compro io la macchina nuova". Nonostante tutte queste peripezie giudiziarie è proprio in questi anni, precisamente dal 1980 al 1985 che vive la sua unica vera storia d'amore, con Maria Amelia. Purtroppo però lei si ammala gravemente e Gianfranco viene continuamente sollecitato dai familiari a lasciarla, cosa che poi fa per evitare screzi in famiglia. Tempo dopo però si pentirà amaramente di questa scleta e proverà a cercarla di nuovo, ma lei nel frattempo si è rifatta una vita, anche sentimentale, e lui di questo ne soffre non poco. Probabilmente dopo i due traumi fisici subiti negli anni, questo è il colpo di grazia che trasformerà definitivamente Stevanin in un mostro, il mostro di Terrazzo.
Comincia la discesa agli inferi, Gianfranco comincia a frequentare prostitute e si allontana per sempre dal concetto di amore e sessualità vissuta in modo normale. Gli incontri diventano regolari e le fantasie sempre più pervers e violente. La sua vecchia passione per la fotografia torna prepotente e comincia a pagare le prostitute affinchè si facciano ritrarre in pose oscene. Nel suo casolare, dopo l'arresto verranno recuperate più di 7000 foto. E come per le foto, anche tutto il resto, compreso l'esistenza di un serial killer che operava nella zona, viene appreso solo dopo il suo arresto, avvenuto il 16 dicembre del 1994. Tutto viene scoperto per caso. Quel giorno al casello di Vicenza una donna apre la portiera di una Dedra blu e corre verso una macchina della Polizia parcheggiata nelle vicinanze. La ragazza si chiama Gabriele Musger (nome che poi risulterà falso) ed è una prostituta che lavora nella zona. Il suo racconto è sconcertante. Era stata avvicinata da quel ragazzone gentile e di bella presenza, che gli aveva proposto di posare nuda per lui, dietro compenso di 1.000.000 di vecchie lire. La ragazza accetta e lo segue nel casolare, ma ben presto capisce che la situazione degenera e si ribella quando si trova legata polsi e caviglie al tavolo sul quale è stesa sulla schiena. Lui è diventato nervoso e la minaccia, così lei pur di salvarsi la vita lo fa cadere nell'errore che gli costerà caro. Gli promette dei soldi, tanti soldi, 25.000.000 di lire per lasciarla andare. Dice di averli in contanti a casa sua. Lui accetta, la porta a casa e al casello di vicenza, appunto, approfittando della sua distrazione nel pagare il pedaggio, scappa.
Inizialmente l'accusa è di violenza carnale e sequestro di persona ma dalla perquisizione seguente, nel suo casolare, vengono fuori altri inquietanti indizi che fanno allargare l'indagine. Verrano schedati diversi reperti: indumenti intimi femminili, una parrucca bionda, atlanti di anatomia, immagini sacre, numerose videocassette pornografiche, falli artificiali, bende, corde, un sacchetto contenente peli pubici (ammetterà che la sua intenzione era di raccoglierne a sufficienza per riuscire a farne un cuscino), cinghie e tutine di cuoio, oltre alle già citate migliaia di foto di diverse ragazze. Verrano inoltre trovati i documenti di donne scomparse tempo prima e di cui non si era saputo più nulla e un vero e proprio schedario relativo alle prostitute che aveva conosciuto, con descrizione somatica, misure, prestazioni a cui erano propensi e voto finale. Ovviamente sono i documenti delle ragazze scomparse a suscitare maggiore preoccupazione negli inquirenti. Stevanin, nonostante questi indizi abbastanza compromettenti non confessa subito i delitti. Lo farà soltanto dopo il ritrovamento del primo cadavere.
Una di queste è Claudia Pulejo, 29 anni, tossicodipendente sieropositiva di Legnago (VR), scomparsa nel gennaio del 1994. Gianfranco ammette che la ragazza è effettivamente morta ma di non esserne lui il colpevole. Dichiara di averla vista iniettarsi eroina dopo il loro rapporto sessuale e di essersi addormentato con lei. Al risveglio l'avrebbe trovata già morta, probabilmente per overdose. Però la storia non finisce qui perchè Stevanin anzichè denunciare il decesso "accidentale" non si scompone, avvolge il cadavere in un sacco di plastica e lo seppellisce in un campo vicino al casolare degli orrori, dove verrà ritrovato soltanto l'1 dicembre del 1995. Altra vittima, Biljana Pavlovic, 25 anni, cameriera serba, scomparsa nell'agosto del '94 da Arzignano (VI). Anche in questo caso l'assassino cerca di discolparsi il più possibile, ammettendo la sua morte, ma attribuendola a cause accidentali. Secondo Stevanin il decesso sarebbe sopraggiunto durante un rapporto particolarmente estremo, dove lui le aveva infilato un sacchetto in testa. In seguito a questo la vittima era morta per soffocamento, ma lui se ne sarebbe accorto quando era ormai troppo tardi. In realtà poi le analisi sul cadavere, che venne ritrovato soltanto il 12 novembre 1995, riportava altri segni ben più evidenti. L'autopsia, infatti, svela l'asportazione dell'utero e un foro all'altezza dell'osso iliaco, trapassato da parte a parte. Stevani confesserà poi di aver piegato in due il corpo, avvolto nel cellophane e sepolta e di aver poi bruciato i vestiti. Quando confessò, usò queste parole per descrivere l'accaduto "Già altre volte avevamo fatto insieme sesso estremo. E quella sera al casolare, decidemmo di provare qualcosa di diverso. La feci spogliare, le legai le mani dietro la schiena, la feci sdraiare a faccia in giù e tirai la corda dalle mani fino intorno al collo. Quindi le infilai un sacchetto di nylon sulla testa, per provare un piacere più intenso. Ma una volta finito di fare l'amore, mi accorsi che era morta. Presi il cadavere, lo piegai in due, lo avvolsi in un telo cerato color azzurro, lo portai nell'orto e lo lasciai poco lontano, dentro un avallamento. Poi lo ricoprii di terra con il badile, bruciai gli abiti e la borsetta."
E in un modo simile sarebbe poi morta anche Blazenca Smelio, 24enne croata. anche lei sarebbe morta accidentalmente durante un rapporto sessuale a sfondo sadico, durante il quale Stevanin avrebbe stretto troppo, senza volerlo a suo dire, il braccio intorno al collo della vittima che sarebbe così morta soffocata come la precedente vittima. successivamente descriverà così quell'omicidio "Non so neppure dire chi fosse e che nome avesse. Ricordo solo che non la portai al casolare, ma nella casa nuova. Mi pare fosse autunno. Facemmo l'amore piegati su un fianco, io le misi le mani intorno al collo e lei morì. La portai al casolare, lasciai lì il corpo un paio di giorni, poi presi un taglierino da balsa, tagliai prima una gamba in due pezzi, poi l'altra, quindi le braccia. Le ho tagliato anche la testa, l'ho rasata e non ricordo se ho fatto dei pezzi anche del tronco. Ho lavorato diverse notti...".
Un'altra vittima attribuita a Stevanin è Roswita Adlassnig, 23enne austriaca. Di lei si sono perse le tracce l'8 maggio del 1993 e la sua amica Petra ha riferito che era stata avvicinata dallo stesso Stevanin poco prima che lei scomparisse, con la proposta di alcune foto. Successivamente la stessa Petra avrebbe ricevuto la stessa proposta, declinandola. Le foto di cui parla Petra verranno effettivamente ritrovate nel casolare del killer. E' la quarta delle 5 vittime attribuite a Gianfranco Stevanin. La quinta resterà non identificata ma la sua morte si apprende dalle foto ritrovate dagli inquirenti in cui si vede lo stesso Stevanin alle prese con macabri rituali su un corpo che sembra a tutti gli effetti privo di vita. Il processo a Gianfranco Stevanin comincia il 6 ottobre del 1997. L'imputato, su consiglio del legali, si presenta in aula con la testa quasi del tutto rasata per lasciar intravedere la vistosa cicatrice che aveva in testa. La tesi difensiva puntava, sul riconoscimento dell'incapacità di intendere e di volere dell'imputato. Il 21 ottobre, infatti, la difesa presenta la perizia psichiatrica di parte in cui si parla di "buchi neri" nella psiche di Stevanin che avrebbero causato "gravi disturbi comportamentali". L'accusa invece sottolinea il quoziente intellettivo superiore alla media, e la pianificazione accurata dell'occultamento dei cadaveri, segno di lucidità ed efferatezza. Drammatica è l'udienza del 2 dicembre del 1997. Viene chiamata a testimoniare Noemi Miola, sospettata di essere a conoscenza di tutti i delitti. La madre si avvale della facoltà di non rispondere, ma il seguente interrogatorio del cugino di Gianfranco, Antonio De Togni, sembra confermare questa tesi. Antonio riferisce di un episodio verificatosi tempo prima. Mentre arava i campi aveva per caso dissotterrato una testa umana (che poi si accertò appartenere alla scomparsa Biljana Pavlovic). Riferito l'accaduto alla madre Noemi, questa avrebbe risposto di lasciare perdere perchè "Gianfranco avrebbe rimosso tutto appena rientrato".
Il 28 gennaio del 1998 arriva la sentenza. I giudici non credono alla tesi della difesa e condannano Gianfranco Stevanin alla pena dell'ergastolo per sei omicidi, con le aggravanti di violenza carnale, distruzione ed occultamento di cadavere. Inoltre la sentenza infligge all'imputato 3 anni di isolamento diurno. Tra i sei delitti sono inclusi anche due le cui vittime non sono mai state identificate. La loro morte sarebbe stata ricostruita attraverso le foto trovate nel suo casolare (in una si vede bene anche il braccio di Stevanin). La corte d'Assise in seguito annullerà la sentenza, che tuttavia verrà poi riconfermata in via definitiva dalla corte d'Appello il 23 marzo 2001. Attualmente sta scontando la pena nel carcere di Sulmona (AQ). Sua madre, Noemi Miola è stata invece assolta per mancanza di prove.
ALCUNE VITTIME (passa il mouse sulle foto per leggere i nomi)
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