Questa è la storia di una delle pagine più oscure e misteriose della cronaca nera italiana. Nonostante diversi processi, incriminazioni e sentenze, è stato scelto di inserire questo caso nella sezione delle "sette assassine", in quanto ad oggi ci sono ancora tantissimi lati oscuri e poche certezze. Inoltre, si fa sempre più verosimile la teoria di un "gruppo" di assassini che nel corso del tempo sono entrati a far parte in questa terribile vicenda. Lo scenario che sconvolse l'opinione pubblica per quasi un ventennio ha inizio nel 1968 e terminerà (solo dal punto di vista degli omicidi) nel 1985. Un puzzle intricato e nebuloso, reso ancora più oscuro da alcuni errori grossolani effettuati dagli inquirenti, a quell'epoca non ancora avvezzi ad affrontare un serial killer. Ad esempio vennero smarriti i bossoli repertati sulla scena del crimine del primo duplice omicidio. Inoltre in questa lunga inchiesta sono emersi personaggi e situazioni altrettanto ambigue che hanno dato adito ad ulteriori dubbi e scenari: pentiti inattendibili, maghi e visionari, informatori segreti, medici dalle attività poco chiare, giornalisti sospetti e perfino personalità eccellenti e uomini del SISDE (i servizi segreti civili).
L'incubo ha inizio il 22 agosto del 1968. Siamo a Castelletti di Signa, in provincia di Firenze. Barbara Locci, 32 anni, era conosciuta in paese con il soprannome di "Ape regina" perchè frequentava diversi uomini pur essendo sposata. Quella sera, infatti, Barbara va al cinema con il suo amante del momento, Antonio Lo Bianco, un muratore di 29 anni, e con il suo figlioletto Natalino. Usciti dal cinema, i due amanti si recano con la macchina nei pressi del cimitero per appartarsi, è una notte di novilunio, con la luna ancora nascosta all'orizzonte ed il buio è pressochè totale. Il bambino si addormenta sul sedile posteriore dell'auto di Lo Bianco, mentre i due si scambiano effusioni. Improvvisamente dall'oscurità qualcuno spara contro di loro. Tre colpi raggiungono la donna colpendola alla schiena. Poi è il turno di Lo Bianco, raggiunto in pieno petto da una scarica ravvicinata di 4 colpi. Sui corpi delle vittime non vengono trovate tracce di violenza sessuale. Il piccolo Natalino al momento dello sparo si sveglia di soprassalto, e viene prelevato dal killer, che se lo carica in spalla. Raggiunto un casolare vicino suona alla porta e scappa lasciando lì il piccolo. Quando il proprietario si affaccia resta confuso ed agghiacciato dalle parole del piccolo: "Aprimi la porta che ho sonno.. ho il babbo ammalato a letto: dopo mi accompagni a casa perchè c'è la mì mamma e lo zio che sono morti in macchina.."
Tra le sei e le sette della mattina seguente, una pattuglia dei Carabinieri aveva raggiunto l'abitazione di Stefano Mele, marito di Barbara, e l'aveva trovato vestito di tutto punto con una valigetta in mano. Stefano Mele aveva indicato il suo alibi: già a partire dal pomeriggio precedente era rimasto a casa perché non si sentiva bene, e due persone erano andate a trovarlo. Si trattava di Carmelo Cutrona e di Antonio Lo Bianco, entrambi amanti di sua moglie. Improvvisamente, dopo aver indicato agli inquirenti i diversi amanti della moglie come possibili autori del delitto, Stefano Mele confessa di essere stato lui stesso ad uccidere Barbara e Antonio Lo Bianco. Nonostante la confessione, non si è mai creduto che Stefano Mele abbia raccontato tutta la verità. L'uomo non ha voluto dire che fine aveva fatto l'arma del delitto, che non è mai stata ritrovata. Vengono invece repertati i bossoli dei proiettili. Sono di marca Winchester, serie H, calibro 22,utilizzati per la Beretta Long Rifle.
Domenica 15 settembre 1974, a Borgo S. Lorenzo, in località Sagginale, vengono rinvenuti i corpi senza vita di Stefania Pettini, 18 anni, e Pasquale Gentilcore di 19. La località si trova a neanche 40 km dal luogo del primo delitto del mostro, ma sono passati 6 anni e nessuno mette in relazione i due casi. A mezzanotte circa della notte precedente i due giovani, a bordo di una 127, avevano deciso di fermarsi, per cercare un po' di intimità, lungo una strada sterrata che costeggia il fiume Sieve. Dal buio emerge l'assassino che spara contro di loro 10 colpi di pistola. Pasquale viene raggiunto da 6 colpi, e successivamente da due pugnalate al torace. Stefania viene colpita da 4 proiettili. L'assassino poi la preleva dall'auto e la adagia sul suolo. La colpirà ancora con 96 pugnalate, di cui 70 al pube e le restanti sul seno. Sulla scena del crimine viene anche notato che la borsetta della ragazza è stata rovistata ed il contenuto sparso a terra. I bossoli repertati sono di marca Winchester, serie H, calibro 22, di una Beretta LR. Le indagini si erano concentrate su Bruno Mocali, di 53 anni, un sedicente guaritore, Giuseppe Francini, uno psicolabile che si era autoaccusato del delitto, Guido Giovannini, un guardone, riconosciuto da alcuni testimoni mentre spiava le coppiette nella stessa zona del delitto. I tre uomini erano stati poi rilasciati.
Sabato 6 giugno 1981, intorno alla mezzanotte, in Località Mosciano di Scandicci, a bordo di una Fiat Ritmo ci sono Carmela De Nuccio di 21 anni e Giovanni Foggi di 30. Un'altra coppietta appartata che viene colta di sorpresa dal killer, che spara loro 8 colpi di pistola. Tre di questi colpiscono Giovanni Foggi, gli altri 5 colpiscono Carmela. Anche questa volta i bossoli che verranno poi trovati sono dei Winchester, calibro 22, serie H. Anche questa volta il killer infierisce con il coltello, pugnalando 3 volte Giovanni alle spalle e 2 volte Carmela alla gola. Poi tira fuori la ragazza e la adagia a terra, ma invece delle pungalate stavolta il killer effettua una vera e propria mutilazione del pube. Tutti gli altri elementi restano uguali: contenuto della borsetta rovesciati sul prato, la serata di novilunio. Però c'è anche qualcosa di nuovo, uno strano oggetto viene ritrovato di fianco al cadavere mutilato della ragazza, una piramide di granito, alta 15 cm. Questa volta però c'è un sospetto, che poi verrà arrestato. si tratta di Enzo Spalletti, un guardone di coppiette della zona. L'elemento che porterà all'incriminazione dell'uomo è costituito dal racconto che lui stesso fa alla moglie, alle 9,30 del mattino dopo. Pur senza dichiararsi colpevole, Spalletti racconta alla moglie delle due vittime, affermando di averlo appreso dai giornali del mattino. Però la stampa pubblica la notizia soltanto il giorno dopo il suo racconto fatto alla moglie.
Sono le 23.30 del 23 ottobre 1981. Ancora una notte senza luna. In località Travalle di Calenzano, all'interno di una Golf, una giovane coppia di sta scambiando effusioni amorose quando dal buio partono degli spari. La ragazza, Susanna Cambi di 24 anni viene raggiunta al petto da 5 proiettili mentre il ragazzo, Stefano Baldi, di anni 26, viene raggiunto dagli altri 4 colpi sparati a bruciapelo. Questa volta l'assassino tira fuori dall'auto, oltre al corpo della ragazza, anche quello del ragazzo. Infierisce con diverse pugnalate sui due corpi prima di dedicarsi interamente a Susanna. Questa verrà ritrovata il mattino seguente in posizione supina, con la maglietta ed il reggiseno sollevati fino al collo, le braccia verso l'alto e la gonna tagliata. Sotto il seno sinistro c'è un profondo e largo taglio. Un altro squarcio causato da una pugnalata molto violenta è presente immediatamente sotto l'ombelico. Il pube viene mutilato come negli altri casi, la borsetta rovistata, i bossoli sempre uguali, stessa marca, stessa serie. La psicosi del mostro a questo punto si impadronice degli abitanti della zona, ed i media nazionali accorrono in massa dando ampio risalto al caso.
Il delitto successivo avviene 8 mesi più tardi, il 19 giugno 1982. Questa volta il luogo del crimine è Montespertoli dove in una Seat blu quella sera di novilunio, verso le 23.45 ci sono Antonella Migliorini di 19 anni ed il suo ragazzo Paolo Mainardi di 22 anni. Il susseguirsi dei fatti stavolta subisce un cambiamento per via di un imprevisto. Infatti dopo esser comparso, come sempre dal buio, e cominciato a sparare, succede un imprevisto. Antonella muore praticamente sul colpo ma il killer non si accorge che Paolo è ancora vivo ed abbastanza lucido da provare la fuga. così accende il motore ed i fari e tenta una burrascosa retromarcia, ma la sua macchina finisce incagliata in una cunetta. L'assassino resta calmo, prende la mira e spara ad entrambi i fari per far tornare il buio più assoluto. Ma la strada è trafficata e il mostro deve rinunciare ai rituali ormai noti e svanisce nel nulla, dopo aver tolto le chiavi dal cruscotto ed averle scaraventate lontano. il ragazzo viene ritrovato agonizzante e trasportato d'urgenza in ospedale dove morirà poco dopo. Sul luogo dell'agguato, i soliti bossoli Winchester, serie H.
9 settembre 1983. In località Galluzzo si consuma il sesto duplice omicidio seriale del mostro di firenze, com'è ormai chiamato dai media. Anche questa volta però l'assassino deve tornarsene a mani vuote. Le vittime infatti sono due giovani tedeschi che dormivano nel loro furgone Wolkswagen in una piazzola isolata. Si chiamano Horst Meyer e Uwe Rusch Jean, entrambi di 24 anni ed entrambi di sesso maschile. L'assassino compare davanti al mezzo all'improvviso e comincia a sparare verso il parabrezza uccidendo prima Horst e successivamente, girando intorno al furgone, Uwe. La scena del delitto è solo simile alle altre. Notte di novilunio, bossoli Winchester serie H, ma nessuna mutilazione sui cadaveri. La polizia conclude che l'assassino deve aver scambiato Uwe, che portava lunghi capelli biondi, per una ragazza e che quindi, scoperto che così non era, aveva lasciato il luogo del delitto senza poter effettuare il suo rituale.
Sono le 21.40 di domenica 24 luglio 1984. Tra Dicomano e Vicchio, Pia Rontini, 18 anni, e Claudio Stefanacci, 22 anni, sono a bordo della Panda di quest'ultimo. E' una notte buia, una notte di novilunio. Mentre i due si scambiano effusioni, dall'oscurità un uomo comincia a sparare verso la coppietta. Il ragazzo viene ucciso da 4 colpi di pistola, mentre la ragazza da tre, sparati da breve distanza. L'assassino dopo aver trascinato fuori dell'abitacolo il corpo di Pia Rontini, finisce il ragazzo sul sedile dell'auto con 10 violente coltellate al petto e alla gola. Poi torna sul corpo della ragazza per completare la sua macabra opera, prima colpendola con il coltetto alla testa ed alla gola, poi amputando il pube. Questa volta però amputa completamente anche il seno sinistro, con un preciso taglio. La Polizia viene informata del delitto poco dopo da una telefonata anomina che indica il luogo dove è avvenuto. La scena che si presenta agli agenti è ormai tristemente familiare. Il corpo del ragazzo in un lago di sangue sul sedile anteriore reclinato, e quello della ragazza a qualche metro dall'auto, a terra, con le gambe aperte ed i vestiti tagliati da una lama affilata e precisa. E poi i bossoli, marca Winchester, serie H. Dopo questo omicidio viene costituita la SAM, la Squadra Antimostro, composta da un pool di esperti che ha il compito di rivedere tutta l'indagine e di catturare il mostro.
L'ultimo duplice omicidio avviene in località San Casciano Val di Pesa, l'8 settembre del 1985. Le vittime sono Jean Michel Kraveichvili, 25 anni e Nadine Mauriot di 36 anni. Sono due turisti francesi che si sono fermati in una piazzola isolata ed hanno montato una tenda canadese per passare la notte. Mentre fanno l'amore, l'assassino squarcia con un taglio il retro della tenda e spara in rapida successione 5 colpi di pistola. Tre raggiungono Nadine, uccidendola. Gli altri due colpi feriscono soltanto Jean Michel che riesce a guardagnare l'uscita e scappare. Nella corsa inciampa e cade. Viene subito raggiunto dall'assassino che lo uccide con tre profonde coltellate alla schiena, finendolo poi con altri fendenti alla carotide ed al ventre. Poi torna nella tenda, tira fuori il corpo già nudo di Nadine e sempre con precisione chirurgica asporta il pube ed il seno sinistro della ragazza. Successivamente riporta il cadavere nella tenda e per la prima volta lo occulta, coprendolo con il sacco a pelo. Nonostante tutto osa più delle volte scorse. Infatti subito dopo il delitto percorre circa 60 chilomentri in auto fino a San Piero a Sieve, dove imbuca una lettera, la cui destinataria, scritta con caratteri ritagliati da un settimanale ed incollati sulla busta, è la Dott.ssa Silvia Della Monica, procuratore di Firenze ed unica donna tra le persone coinvolte nelle indagini. All'interno della busta ci sono tessuti organici che dalle analisi risulteranno appartenere al seno di Nadine.
Nel corso degli anni le indagini imboccano diverse strade, sempre diverse, ma nessuna porta alla soluzione definitiva del caso, anche quando sembra invece il contrario. Diverse persone verranno sospettate, incriminate, arrestate ma gli omicidi non si fermeranno. E' il caso di Stefano Mele, il marito della donna assassinata nel primo duplice omicidio. Si autoaccusa e finisce in carcere, poi chiama in causa diversi personaggi tra i quali i fratelli Salvatore e Francesco Vinci, entrambi di origine sarda ed entrambi amanti, in epoche diverse, di Barbara Locci anche lei di origine sarda, come suo marito Stefano Mele. Questi furono i principali artefici di quella che poi verrà battezzata la "pista sarda", che per anni venne ritenuta la più attendibile da tutti. Ma i fatti smentirono tutte le congetture e man mano gli imputati furono prosciolti. Tutti vengono scarcerati man mano che i delitti si susseguono, discolpandoli. L'11 settembre 1985, tre giorni dopo l'ottavo omicidio, una lettera anonima viene recapitata sia ai Carabinieri che alla Questura. Nella lettera si consiglia agli inquirenti di indagare su un contadino di Mercatale, Pietro Pacciani. E' questa la prima volta che il più noto degli accusati degli omicidi del mostro di Firenze entra nell'inchiesta e non ne uscirà più.
Pietro Pacciani nasce il 7 gennaio del 1925. A soli 26 anni uccide in preda alla gelosia Stefano Bivini, un venditore ambulante che si era appartato nei boschi con la sua fidanzatina appena quindicenne, Miranda Bugli. Il particolare che verrà spesso citato è che, a quanto pare, la rabbiadi Pacciani era scattata nel momento in cui aveva visto il seno sinistro della ragazza, scoperto. E secondo gli investigatori questo avrebbe spiegato poi le mutilazioni successive. Pietro Pacciani viene arrestato ed uscirà dal carcere all'età di 39 anni. Riesce a rifarsi una vita e sposa Angiolina Manni. Dal matrimonio nascono anche due figlie, Rossana e Graziella. Ma la vita domestica è tutt'altro che felice e tranquilla. Pacciani non fa altro che litigare con la moglie ed umiliarla di continuo. Le figlie se la passano anche peggio. Subiscono sistematicamente violenze sessuali da parte del padre per un decennio, tanto che nel 1987 Pacciani finisce nuovamente in carcere per stupro aggravato. Resterà dietro le sbarre per 4 anni e quando viene rilasciato, moglie e figlie lo hanno abbandonato per sempre. Il 30 ottobre del 1991, mentre è ancorain carcere, riceve un avviso di garanzia con l'accusa di essere il mostro di Firenze. Il complesso processo finisce l'1 novembre del 1994 con la condanna all'ergastolo, e vede coinvolti insieme a lui, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i cosiddetti "compagni di merende". Nel processo di appello però la sentenza viene capovolta e Pacciani viene assolto, mentre per gli altri due imputati le condanne di ergastolo per il primo, e 30 anni di reclusione per il secondo vengono confermate. Di fatto restano gli unici due arrestati per il caso del mostro di Firenze. Ma nello stesso anno del proscioglimento, il 1996, la Cassazione riapre le indagini annullando di fatto l'assoluzione. Pacciani però è in libertà finchè non verrà di nuovo riconosciuto colpevole. Ma prima che ciò accada, il contadino di Mercatale muore, ufficialmente per un arresto cardiaco, ma in realtà in circostanze molto sospette. Dall'autopsia risulteranno tracce nel suo sangue di
un antiasmatico, l'Eolus, che poteva aver favorito l'infarto. Date le condizioni cliniche non buone del soggetto, nessun medico avrebbe prescitto al Pacciani un simile farmaco. Insieme a tanti pesanti indizi contro di lui, c'erano anche pesanti dubbi sulla sua colpevolezza, prima di tutto l'assoluta precisione dell'assassino nell'uso del bisturi e nel sezionare con tagli così precisi e fermi i corpi delle vittime.
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