Non si era ancora placata l'ondata di sdegno generale per la vicenda delle Bestie di Satana quando, ancora una volta in Italia e ancora una volta in Lombardia, una nuova vicenda di cronaca viene alla luce. Ed è una vicenda di quelle che lascia sgomenti chiunque, e getta nel rimorso perenne i parenti delle vittime. Avere un familiare o un amico ucciso da un serial killer è sicuramente un'esperienza traumatica, ma sapere di aver consegnato direttamente nelle mani dell'omicida il proprio caro o amico, è decisamente devastante. Ed è quello che è successo nel caso di Sonia Caleffi. Perchè Sonia Caleffi non si è mai aggirata per le strade buie alla ricerca di vittime. Alla Caleffi le vittime le venivano consegnate, perchè lei era un'infermiera, una figura che infondeva fiducia nei malati, e che invece per molti si è rivelata fatale. Della vita di Sonia non si conoscono molti particolari. E' nata e cresciuta in una famiglia che si può tranquillamente definire normale. E' figlia unica ed è sempre stata considerata da tutti una bambina molto dolce. All'interno del nucleo familiare non ci sono tensioni, ne tanto meno violenze e abusi. Tutti sembrano ricordare la sua vocazione per aiutare il prossimo e il sogno di diventare infermiera. Anche da ragazza viene considerata da tutti molto tranquilla, precisa e matura. Tuttavia crescendo Sonia inizia ad avere diversi problemi psicofisici. A 15 anni cade nell'anoressia e nelle depressione che con il passare del tempo diventa sempre più grave, tanto da costringerla ad una terapia psichiatrica molto lunga. Anche esteriormente i segnali di questo malessere interiore iniziano a svelarsi, con il cambio frequentissimo di colore e taglio di capelli. A 23 anni sembra aprirsi nella sua vita uno sprazzo di felicità. Sonia infatti sposa un falegname di Cernobbio, ma dopo meno di un anno la relazione già fallisce e Sonia diventa ancora più insicura e depressa. Nel 1990 comincia allora a frequentare la scuola per infermiere e a lavorare come allieva nell'ospedale privato Valduce di Como. Qui conosce un radiologo che comincia a frequentare, e dopo un breve periodo di frequentazione decide di trasferirsi a Tavernerio a conviverci. Neanche il nuovo amore però rinfranca lo spirito di Sonia che si chiude sempre più in se stessa ed evita qualsiasi occasione di incontrare gente o di uscire. In ospedale invece tutti la descrivono come taciturna e introversa, una ragazza molto indecisa che al presentarsi del minimo problema scoppiava a piangere perchè non sapeva come risolverlo. Nel 1994, dopo il periodo di tirocinio, viene assunta dall'ospedale Valduce ed impiegata nel reparto endoscopia digestiva. Durante questi 6 anni però la sua condotta non è da infermiera modello. Si assenta frequentemente e per diversi giorni, senza fornire particolari spiegazioni ma solo esibendo dei certificati medici molto generici in cui non si specifica la patologia. Così per lunghi anni nessuno si accorge del rischio di avere in corsia una infermiera depressa. Nel 2000 Sonia Caleffi si licenzia dal Valduce e per 4 anni lavora in diversi ospedali e case di cura. Per tre mesi è al pronto soccorso dell'ospedale Sant'Anna di Como, poi per 4 mesi (aprile 2002) alla casa di riposo "San Benedetto" in provincia di Como. Dal settembre al novembre del 2003 è di nuovo all'ospedale Sant'Anna di Como dove però non supera il periodo di prova a causa delle numerose assenze ingiustificate, e nello stesso periodo in quella struttura si verificano 8 decessi tra i pazienti. Nel 2004 vince un concorso all'ospedale "Manzoni" di Lecco dove lavora fino a quando non viene poi arrestata nel novembre dello stesso anno. L'arresto avviene il 15 dicembre del 2004, dopo che un'indagine della polizia che era stata condotta dopo la segnalazione di uno straordinario incremento di decessi. Dal primo settembre agli inizi di novembre si erano infatti verificati ben 18 decessi, quasi tutti inspiegabili. Le indagini pian piano si concentrano su di lei che infine viene arrestata. Sonia sembra essere immediatamente sollevata dal peso che si portava dentro e subito confessa di essere la responsabile di quelle morti. Dichiara di essere stata vittima del senso di inadeguatezza e di estrema insicurezza che la caratterizzava fin da bambina. Per questo motivo, e per dimostrare che era una brava infermiera, creava situazioni di emergenza iniettando aria nelle vene dei pazienti per poi mostrarsi attiva e competente quando arrivavano in soccorso gli altri medici ed infermieri. La polizia effettua una perquisizione della sua abitazione dove vengono ritrovati libri dai titoli inquietanti quali "donne invisibili", "Sprecata" e un testo di Paulo Coelho dal titolo "Veronika decide di morire" dove diverse pagine sono sottolineate con tratto deciso e riempite di appunti incomprensibili. Si decide allora di indagare anche nel passato professionale della Caleffi e di verificare se anche gli otto decessi avvenuti nel 2003 all'ospedale Sant'Anna di Como possano essere stati commessi da lei. L'accusa diventa quindi di 15 omicidi, di cui 4 ammessi subito dalla stessa Caleffi. Ma come spesso succede negli individui con una personalità che ha un forte bisogno di essere continuamente al centro dell'attenzione, Sonia dopo pochi giorni ritratta tutto. La difesa chiede allora la perizia psichiatrica sull'imputata e nel febbraio del 2005 vengono nominati i 4 periti. Le perizie furono ovviamente opposte (i periti della difesa la dichiaravano non imputabile per incapacità di intendere e di volere e quelli dell'accusa invece perfettamente sana di mente) ma prevalse la convinzione che Sonia, seppur soffrendo di disturbi della personalità, era perfettamente in grado di intendere e di volere nel momento in cui praticava insufflazioni di aria che poi provocavano la morte dei pazienti per embolia gassosa. Per lo stesso motivo viene quindi ritenuta idonea al normale regime carcerario e viene quindi trasferita dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere al carcere di San Vittore a Milano. Il processo a Sonia Caleffi è stato lungo e complicato e la richiesta dell'accusa si è avuta a luglio del 2006, con la richiesta di 30 anni di carcere per la morte di almeno 6 pazienti e l'accertato tentato omicidio di almeno altri 3. La difesa invece ha chiesto la piena assoluzione dell'imputata perchè il fatto non sussisteva. In pratica gli avvocati difensori (dopo diverse perizie tecniche) sostenevano che l'insufflazione di aria non era sufficiente a causare la morte dei pazienti, i quali pertanto, non sarebbero morti per diretta responsabilità di Sonia Caleffi. Il 10 luglio del 2006 arriva la sentenza che la condanna a 20 anni di carcere. Alla lettura della sentenza stessa Sonia ha avuto una crisi di pianto isterico, tanto da dover essere portata subito fuori dall'aula.
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